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XXXV
PRIGIONE
Prigion vasta è la terra; ed a governo
di te, schiavo infelice, il dolor siede:
schiavo t’asconde l’utero materno;
prigionier nelle fasce il sol ti vede.
Le sue catene, anco fiorite, al piede
amor t’avvolge, e poi ti piglia a scherno:
in qual sia parte dell’umana sede,
d’altri e di te sei prigioniero eterno.
Qua cerchi indarno libertá: né il vero,
né il bello a te la reca. Aquila o lampo,
è un servaggio superbo il tuo pensiero.
La dolce donna, che tu sogni, ha stanza
forse e t’aspetta sotto i fior d’un campo,
che di prigion suprema ha piú sembianza.
XXXVI
DIPORTO A VESPRO PER FIRENZE
Quand’ombra, e vo soletto, e via mi passa
fra cappe bianche sui crocicchi un morto,
movo il piè sconsolato, e a testa bassa
dagli amari pensier vinto è il diporto.
E una nova sequenza e un’altra cassa
in capo ad altra via veggio di corto,
e vo sciamando: — Ahi, come nuda e lassa
nostra povera vela entra nel porto! —
Sparge intanto la luna i puri argenti
pei clivi d’Arno, e solitaria pende
di San Miniato su la trista china.
Garrulo si protrae per le frequenti
piazze il susurro: c l’anima riprende
la sua tacita via di pellegrina.