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XXXIII
LABUNTUR ANNI
Un vento nero, vestito di morte,
un vento nero mi spira d’intorno,
e mi contrista ogni ameno soggiorno,
c piú lo fuggo, m’incalza piú forte.
De lore liete, che fúr le piú corte,
quel vento nero mi sbarra il ritorno;
ne mai si cheta per lume di giorno,
anzi ogni notte mi picchia a le porte.
Et! una notte (deh! questo si faccia)
rotti i serrami, entrerá discortese
quel vento nero per darmi paura.
Ma gli dirò con aperte le braccia:
— Eccomi pronto a mutar di paese:
portami, o vento, a la mia sepoltura. —
XXXIV
UMANO LAMENTO
Tutte l’aure son piene, e tutti gli echi, dell’umano lamento; e a noi la vita facchini misera noi. Ne’ cavi spechi con piú senno la belva è partorita. Cicchi appoggiati ad òmero di cicchi, noi si varca per vie senza salita: spiando icr quel che il dimdn ci rechi, oggi un’altra ne inganna ora fuggita. Sempre, in cerca di larve, a le men fide corriam sognando; c, in quell’crror, si piange del proprio ben, del proprio mal si ride. Velo al gran sogno ò la parvenza nostra; e solo il di die la prigion si frange, nudo il gran sogno al prigionier si mostra. </poem>