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V

VERSI

Io lascio i versi miei dalla finestra
volar, come una schiera d’augelletti;
e quai fuggon da manca, e quai da destra,
ciel turchino occupando, árbori e tetti:
ma, per landa fiorita o per silvestra,
caso li tragga o novitá li alletti,
c’è sempre una gentil che li ammaestra,
quella donna gentil che li ha concetti.
Natura madre, aiuta i vagabondi,
che, seminati al clivo o a la pianura,
cantan sui davanzali e per le Irondi.
E se, gelida e sorda al dolce grido,
passa la gente nova e non li cura,
deh! rimenali, o madre, al primo nido.

VI

SPERANZA

Dal di ch’io feci risonar di canto
l’aure mie sacre, è giá trigesim’anno,
le verginelle d’alcun fior, che il manto
ornò della mia musa, ornate vanno,
e i fanciulletti a me traggon da canto,
e quelle note risentir mi fanno:
ond’io le ciglia di soave pianto
sento velarmi, in quel celeste inganno.
Inganno al tempo, inganno alla fortuna,
forse inganno all’invidia; e, quando arrivi
per me, come che sia, l’ora piú bruna,
crederò che con me non fuggitivi
sieno i miei carmi, se chi scherza in cuna
li ripeta, crescendo, e li ravvivi.