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68 i - edmenegarda

285perché ogni sera alla medesim’ora
una barca radea l’eremo lido,
non a’ suoi dolorosi occhi straniera.
Ella da lunge la vedea sull’acque
avvicinarsi, le tremava il core,
290le rivolgea qualche romito accento,
la seguía sospirando; insin che il breve
suo fanaletto si perdea tra l’ombre.
     Un dí, scendendo a visitar nell’orto
quella viola del pensier, curvata
295sul tenue gambo e pallida la vide
presso a esalare i moribondi incensi
nell’etere materno. Anche quel caro
memore fior languiva! Al vedovato
vasellino lo tolse, in cor pensando
300di lasciarlo cader sull’aspettata
navicella fuggente.
— O tu, pietoso
messaggio almen, sulla corolla estinta
recherai loro questi caldi baci! —
     Aspettando ella sta. Che roseo sogno
305le si dipinge nel pensier! Non sempre
volgon dure le sorti, e il duolo in parte
fu riscatto alle colpe, e la memoria
di quel lontan si discolora e passa.
Chi sa che un giorno la pietá non parli
310all’anima d’Arrigo, ed ei non voglia
dimenticar, e le riapra il seno,
e monda dalle lacrime la chiami
novellamente sua! Dio, che perdona
piú che l’uom non fallisca, eternamente
315lascerá l’odio nella sua fattura?
     Aspettando ella sta. L’acume intende
delle pupille ad esplorar le vaghe
lontananze; non ode urto di remo.
L’ora è trascorsa; ancor silenzio. Addoppia
320gli occhi e l’udito; e il navicel non giunge.