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canto quinto 67

alla vampa del sol, chiuderle ai baci
rugiadosi dell’alba, abbandonarle
non vigilate ai venti, ed una sera
255inchinarsi e morire, ecco la sorte
di quell’infausto fiore.
Egli, il cui nome
t’è rimprovero al cor, d’ogni allegrezza
essiccate ha le fonti, e intensi amori
piú custodir non puote. Egli oggi oblia
260quel che ieri adorava, ed oggi adora
quel che domani oblierá.
Malvagia
e steril landa è di costor la vita.
Solitari la passano; e l’estrema
necessitá di morte li sorprende
265nudi d’affetto; e non han figli o sposa,
non un caro superstite, che doni
lagrimando alle fredde ossa una croce!
     Edmenegarda umiliar la fronte
tra le genti non seppe. E se talvolta
270qualche compagna dei giocondi tempi
spiò da lunge, in altra parte mosse
delicata e superba.
Uscian le turbe
agli allegri tumulti? Ella nell’orto
restava, ore con ore, contemplando
275una viola del pensier, diletto
fiorellin ad Arrigo. O di feroci
note di sdegno o d’armonie d’amore
sonavano i teatri? Ella con mesta
voce sommessa modulava un canto,
280che ad altri tempi in calda estasi Arrigo,
Arrigo suo rapí. Poi, quando i raggi
languían nell’occidente, e qualche stella
scintillava nel ciel, sulla solinga
finestretta venía guardando al mare;