Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/70

64 i - edmenegarda

non obliate! da lontan scoperse
quella dimora! entrò per quella soglia!
quelle mura conobbe! ad ogni sguardo
una fiera memoria! ad ogni passo
160un sorvenire, un assalir d’affetti,
un acceso disordine, un tumulto
vertiginoso! Entrata era felice;
n’uscia reietta; vi tornava quasi
moribonda di fame. Il cor materno
165si dilatava, si stringea, spirando
l’aura spirata da’ suoi dolci figli;
e cosí a stento, finalmente venne
alle stanze d’Arrigo.
In fondo egli era,
solo e pensoso. Alzò gli sguardi e vide...
170e credea d’ingannarsi; e, in piè balzando,
un tremito contenne, immobil stette.
E la guardò.
La misera prostrata
gli era davanti ad aspettar.
— Chi siete?
Che cercate da me? —
Levò tremando
175Edmenegarda la consunta faccia,
e — Guardatemi! — disse. — Un dolce nome
io portava una volta; a voi dinanzi
piú recar nol poss’io!... Ma ho fame, Arrigo!
Sí, guardatemi!... ho fame!
— Ah! che i sepolti
180non han piú desidèri; ed è gran tempo
ch’ella è sotterra, e disertati e soli
qui restiam noi. Vedete quelle stanze?
Lá mi venne rapito, ahi ! cosí presto
quel mio tenero fiore. E questi cari...
185li vedete?... Appressatevi, infelici
orfani miei! —