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canto quarto 57

inghiottir mi potessero! L’Eterno
570benedirei. Leoni! anco un istante,
e poi... lunge per sempre. —
Era soletta
su un veron del palagio Edmenegarda
co’ suoi mille pensier, torbidi, incerti,
rapidi, intensi, paventosi, amari;
575e tra quelli, un occulto, un ostinato
presentimento, ma di tal sventura,
che nome non avea nella sua mente,
e giá stavale in cor.
— Dio degli afflitti!
non sia ver, non sia ver! —
Morta la luce
580era d’intorno. Ribattevan l’ore
dalle squille notturne. Ella un acuto
strido mandò; ché un rumor lieve intese,
e lieve un bacio le sfiorò le chiome.
Vede un’ombra; poi nulla. Intorno getta
585gli occhi smarriti; nulla. A fíevol voce
chiama Leoni; ma nessun risponde.
Era sogno?... Nol sa. Vero?... Ella sente
sul capo ancora il gel di quelle labbra
che la baciâro. In sé tutta si stringe
590impaurita; un orrido deserto
par che la cinga, e il cor le si discioglie,
a groppo a groppo, in un dirotto pianto.
     Quante cose in quel punto ella si disse!
quante piú ne pensò! Non è linguaggio,
595non è forma o color che le dipinga.
S’incrociano, si sciolgono, van ratte,
rivengono piú ratte entro la mente
disperata e confusa; e, in geli e vampe
tramutandosi, assalgono gli abissi
600miserandi dell’alma, ove alfin regna
in solitaria e paurosa notte