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canto quarto 53

440lungamente pregò.
Furon parole
rotte, confuse, inebriate, amare;
furon moti e singulti.
Alfin la prece
le uscí lucida e calda. Era pei figli
e insegnata dal core.
— O santa Madre
445dei dolorosi, non a me guardate,
non a me, cosí rea! Ma i tribolati,
ma gli innocenti, gli orfani son vostri!
Per le piaghe di Lui, che vi amò tanto,
proteggeteli sempre. E se una volta
450sapran di me, che li lasciai nel mondo
sí crudelmente, oh! fateli benigni
a questa loro traviata e trista,
che aspetta pace dalla morte. —
E china
ad un salcio la fronte e sotto i raggi
455mesti del ciel, pareva un decaduto
spirito che pensasse al paradiso,
quando piú pesa la crudel memoria
del commesso peccato.
Un’orma suona...
si disperde... s’approssima... s’aggira
460pei torti calli... si raccosta... È lui.
— Ma che fate voi lá, stesa sull’erbe
umide della notte? Or via, sorgete.
Quel non è loco da pregar. Dimani
torneremo a Venezia. Avrete cento
465e mille chiese eternamente aperte,
per stancar questo Dio.
— Taci, Leoni.
Ma che ti feci io mai? Forse gioisci
di vedermi tremar? Dillo una volta:
che ti turba cosí?