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26 i - edmenegarda

di sì dolenti cose! A te ben noto
esser dovria perché si mesta ho l’alma!
395Son questi i giorni che a’ miei dolci colli
gir mi lasciavi, e della madre in seno
io deponeva i verecondi arcani
del mio felice vivere! Da un anno,
sai ch’ella... è morta! —
E, a quella pia memoria,
400le cadeva una lacrima, confusa
col rossor di meschiar l'urna materna
alla prima menzogna.
— Edmenegarda!...
Null’altro?... Questo... veramente questo
v’amareggia?... Null’altro?
— E perché fiso
405così mi guardi? —
Tutto in quell’occhiata
Edmenegarda intese; e la sostenne
imperterrita.
— Ascoltami! Un atroce
dubbio m’agita l’anima. Piú a lungo,
viltá sarebbe il mio tacer. Conosci...
410certo Leoni? —
Un gelido trabalzo
urtolle il core, ma passò qual lampo.
— Lo conoscete?
— Arrigo mio, perdona
se ti sorrido... Io si che lo conosco
quello scortese. Un dì, male avviato,
415d’ignote genti a dimandar qua venne;
e, nel partirsi, inavvertito, a terra
spinse Adolfetto nostro. —
E, proferendo
le mendaci parole, un’aria assunse
di maraviglia, d’innocenza e pace.
     420Ei la guardò; ma l'ineffabil riso
tuttavia nei sereni occhi brillava.