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canto secondo 25

ch’io vi favelli. Rammentate i giorni
del nostro amore? Ei furon lieti! e forse
non torneranno piú !
— Tristo è il presagio,
Arrigo mio !
— Sentite, Edmenegarda.
365Qualche mistero di dolor vi siede
nell’anima profonda. Io non vorrei
aver fatto una misera. Quel giorno
che legai la mia fede (oh così amaro
non credea mi tornasse il ricordarlo!),
370quel giorno, come adesso, io tenea stretta
nelle mie la tua mano... e questi accenti
m’uscîr dal core: — Edmenegarda, eterni
so che non duran sulla terra affetti.
O inesorata li spegne la morte,
375o li lacera il mondo. Io credo e spero
che mi amerai. Ma... se una volta stanca
di me tu fossi, se al tuo cor non pari
trovassi il mio, se di tristezza e noia
i tuoi giorni languissero, prometti
380che parlerai, prometti! — E a te piangente
parve strano quel dir; tu non credevi
che quest’ora arrivasse. Edmenegarda,
tu nol credevi! Or via; parla una volta:
che ti contrista? Questa lunga e dura
385serie di giorni desolati è troppo.
Parla; ti versa nel mio cor. Non sono
l’amico tuo? —
Fu dieci volte spinta
quella infelice a rivelar la colpa.
Ma il terror, ma l’amor, ma quella stessa
390bontá d’Arrigo, a cui tanta ferita
giá recar non sapea, miseramente
la rattennero, e tacque.
— Oh piú non dirmi