Ben cortese e non pudica
ti sognò la fola antica,
e di Latmo i mirti ombrosi 20van parlando ancor di te,
quando, languida sul petto
dell’ardente giovinetto,
gli recavi i gaudi ascosi
d’un amor che in ciel non è.
25Ma tu, strania al fallo bieco,
tu ridesti il genio greco,
né dell’ira il cupo istinto
la vendetta t’insegnò;
e sull’urne di Platea, 30e sui fior di Mantinea,
e sui marmi di Corinto
la tua luce ognor brillò.
Né giá visiti quei segni
di superbi e morti regni, 35per un senso, qual che fosse,
di tristezza o di piacer.
Esser pia non ti bisogna,
né tal sei. Ma tal ti sogna
nelle fervide e commosse 40sue fantasme il passeggier.
Fredda sí, ma pur divina,
la tua luce a noi s’inchina,
e d’un palpito ci scote
malinconico e immortal. 45Chi nol sente ha sterilito
il pensier dell’infinito:
stranio verme a cose ignote,
polve ed ombra in lui preval.