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14 i - edmenegarda

queste note d’amore! —
E su dal seno
una lacera carta ella traendo,
v’infisse i lumi, la baciò, la strinse
25tra le palme e gemette.
— Io ben rammento
che, appena l’ebbi, la gittai nel foco;
ma estinto il soffio del dimòn l’avea.
Lungo era l’atto a lacerarla intera...
io nol potei! —
Che sogna la demente?
30Arsa l’avrebbe? Ah, se stridea la fiamma
lì pronta a divorarla, indi ritorti
avria gli occhi la misera. E se un primo
impeto pur ve la traea, sparmiato
giá non avrebbe le sue belle vesti
35e le man dilicate, onde salvarla
dalle súbite vampe.
Oh! qual periglio
può rattener la donna innamorata,
quando la punge quell’acuto immenso
empio patir?
Deh, non parlar di queste
40creature sì fragili e possenti,
tu non nato ad intendere che il vile
gaudio d’averle e d’obliarle sempre!
— Duro è l’indugio. E ancor non vien! —
Si desta
da lunge un’eco: Edmenegarda ascolta
45avidamente, le si fan le gote
porpora viva... Il suo Leoni è giunto.
— Addio, diletta! —
Ella si tacque; e, un lungo
sospir traendo, con le molli braccia
gli cinse il collo e lo baciò.
— Divina