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iv - una cena d'alboino re 127



     Fragili fiori piú che colonne
chiamâr, codardi! le nostre donne;
le disser liete, superbe e belle,
                                   ma tutte ancelle!


     25E al vil susurro dell’orgia rea
Rosmunda bella forse gemea,
per colpe orrende non ancor fatta
                                   di quella schiatta.


     — Prenci e baroni, paggi e scudieri,
30ecco il piú bello de’ miei pensieri. —
Cosí, nell’ebro furor del vino,
                                   parla Alboino.


     — Vedete questa, che ho qui d’accanto,
lieta, superba? che mi ama tanto?
35La vera gemma quest’è, per Dio,
                                   del serto mio.


     Vuoi tu trapunta d’oro ogni veste?
trecento all’anno banchetti e feste?
Ricca è l’Italia, ma ricca assai:
                                   40chiedi, ed avrai.


     Ma, poiché denno questi miei prodi
nei lor castelli dir le tue lodi,
e notte e giorno render gelose
                                   fanciulle e spose;


     45sien dunque istrutti d’ogni tuo merto.
Che tu sei buona, frate Roberto
l’ha predicato. Che tu sei casta,
                                   io ’l dico, e basta!