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quella degli Etruschi, e il nome gallico o sarebbe stato creato ex-novo o, meglio forse, tradotto da uno precesso di eguale significato. I Romani poi non avrebbero che latinizzato con paludamento assonante il nome, risultandone „Tridentum“, coi supposti tre denti, del „tridente“ di Nettuno, che ha anche dato lo spunto per la bella fontana settecentesca di piazza Vittorio Emanuele III, già del Duomo, o dei tre famosi dossi, colli o „denti“ (primo naturalmente Dostrento, poi i due Dosso di S. Rocco e Dosso di S. Agata di qui ben visibili).

Così Trento potrebbe voler dire semplicemente: „separato“, „staccato“ inteso il Dosso. Monte in isola, l’aveva detto anche il Mariani nel Seicento.

Ingegnosa e profonda ci pare pure altra spiegazione del toponimo recentemente emersa da uno studioso (vedi su ciò pagine 121-124 e 238 della nostra pubblicazione maggiore sul Dostrento). Il significato etimologico dei nomi di Trento e Trentino sarebbe quello di „Paese dell’Adige“, latinamente „Atharentum“ e „Atharentinum“, nei documenti dei secoli VII-XII: „Terentum“, „Tharentum“ e „Tarentinum“...

Comunque è da credere che in qualche modo il nome anche di Trento oltre che le sue origini siano in rapporto col Dosso, che i Romani già devono aver principiato a chiamare pure col nome di Verrùca (= „porro“, „bitorzoletto“), così espressivo della sua forma, nome che però compare per la prima volta in Cassiodoro sulla bocca di re Teodorico e più tardi in Paolo Diacono nella corruzione barbarica: „Ferruge“.

Quanto alla grafia della parola „Dostrento“ mette pur conto di dire qualchecosa; e si può ammettere che la grafia in corso possa essere un po’ in arretrato per il fatto precipuo che il Dosso, sottratto per sì lungo tempo alla vita pubblica, era poi alla fine quasi sparito sotto la soglia della coscienza cittadina!

Non per nulla è stato osservato e scritto dal Menestrina nel 1905: „la città, divenuta fortezza come un dì Verona e Peschiera, sacrifica la torre d’Augusto e le dorate sale del Castello, ove giovani strappati a lontani paesi hanno voci e canti ben diversi dalle squisite eleganze d’una volta“, il nostro dosso „ormai a nessuno di noi accessibile, ci incombe misterioso, perennemente custodito da sentinelle tedesche o boeme“ e „rimane una sfinge“, sicchè ad esso „nessuno più pensa“ e „le generazioni si seguirono“, ai piedi del colle arcano, e tutte lasciarono detto: Lassù non si passa“.

Così è comparsa radicandosi la grafia Doss Trento (abbreviazione di Dosso Trento) coll’idea anche d’indicare col raddoppiamento che la s è forte. Dopo una vivace campagna di Ernesto Lorenzi di alcuni anni or sono si è preso a scrivere Dos Trento, pur suscitando e lasciando diverse contrarietà. Si trova pure scritto qualche volta così: Dos-Trento, anche prima della campagna. Certo che quel dos fa credere ad un errore tipografico o, per chi non è di casa, ad una dote per nubende, e si pensa di primo acchito a tutto, meno che a un dosso.

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