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uscì a dir la messa: il coro intuonò le funebri litanie. Otto grosse candele ardevano intorno alla morta, e la cera gocciolava agglomerandosi lunghesse in grosse e bizzarre stalattiti, che Baccio, in ciò assai più decoroso dei sagrestani di città, si guardava bene di andar a raccogliere. Alcuna di esse, staccandosi di un tratto, andava a cader sui bossoli di metallo; ciò produceva un rumor secco e forte che faceva alzar qualche testa piamente china, e bisbigliare e farsi dar del gomito i ragazzi. Il prete salutava il tabernacolo, si curvava, si rialzava, spalancava le braccia; dal coro giungevano gli ora pro ea, or gutturali or in tono sostenuto, a uguali intervalli.

Uno sprazzo di pallida luce illuminò d’improvviso un angolo della chiesa, e tosto svanì; una porta laterale si era aperta e rinchiusa. Un uomo era entrato, che non si fece il segno della croce, non piegò il ginocchio, ma si addossò alla parete e vi restò ritto come una statua. Soltanto che uno scrollo lo scoteva ogni tanto da capo ai piedi; allora si passava una mano sulla fronte e poi tentava di farsi ancor più istecchito, come se volesse penetrare nel muro che lo sosteneva.

Un sordo mormorìo, come s’ode nella foresta quando una corrente d’acqua è vicina, era corso da un capo all’altro di quella folla inginocchiata.

— È il marito della povera morta, mi disse all’orecchio Bazzetta.

In questo, Baccio attraversò difilato la chiesa, nella direzione di quell’uomo; ma costui come se lo vide vicino, alzò un braccio e parve dare un comando a cui fosse impossibile non obbedire. E infatti, l’onesto campanaro si arrestò di botto, stette un istante come