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Il portatore era un vecchio piccolo, magro, serio, maestoso, e da uomo che compie in pubblico un ministero glorioso e invidiato,— e sudava come una spugna compressa. Venivano dietro di lui don Gaudenzio coll’aspersorio in mano, alzato in alto come una sciabola, e un chierico che portava con evangelica rassegnazione una delle più belle gobbe ch’io abbia mai viste. Poi, a due a due, i terrazzani di ogni età, d’ogni statura, ma assimilati, grandi e piccoli, giovani e vecchi, da una specie di cotta rossa scendente fino quasi agli stinchi e sormontata da una pellegrina che avrebbe dovuto esser bianca, e qua e là l’era e non l’era. Salmodiavano, spalancando enormemente la bocca, guardando in cielo con occhi bovini e indietro di tanto in tanto, per compiacersi della funzione e per veder se il convoglio cresceva o diminuiva. Di sotto alla tunica uscian loro i calzoni di frustagno e le enormi scarpe inzaccherate. Alcuni, fra i giovani, i quali probabilmente avean comprata o ereditata quell’uniforme medioevale da qualche confratello di statura più alta della loro, la sorreggevano dandosi l’aria di non parere, appoggiando una mano sull’anca o nascondendola fra le pieghe. Di tanto in tanto la fila che si stendeva sul sagrato colle sinuosità di una biscia, veniva scomposta dalla sbadataggine di qualche ragazzotto, sulla testa del quale, pronto come il baleno, cadeva uno scapellotto sonoro, se non era un urtone infittogli per di dietro da qualche ginocchio poco cavalleresco.
Il feretro sorretto da quattro robusti montanari, probabilmente i parenti della defunta e del vedovo, si avanzava col movimento delle navi che pendono troppo in avanti. Era coperto di un drappo nero, ai lati del quale scorgevansi delle figure dipinte cir-