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cingeva la testa; la sua canizie riposava liberamente sul capezzale.

Ci mandò un sorriso collettivo, e stese la mano al dottore, il quale, con mia meraviglia somma e somma dolcezza, chinò il bel capo e baciolla. Allora vi fu uno scambio di sguardi che non dimenticherò mai. Quello di Don Luigi pareva dire:

«Voi sapete come e perchè!»

E quello del medico, corrucciato prima terribilmente, poscia d’un subito rassegnato:

«Pur troppo!»

Que’ due sguardi racchiudevano tutto un dramma.


XII.


E un dramma sognai, molti drammi sognai, come appena ebbi raggiunto il letto e chiusi gli occhi che, dopo tante emozioni, ne avevano davvero bisogno.

La famiglia De Boni, il terribile Sindaco, l’abatino, il caffè di Zugliano, il signor Intendente, quel misterioso De Emma, passarono nel mio cervello come in una lanterna magica, a due, a tre, a quattro, isolati, tutti insieme. mischiandosi, urtandosi, fuggendosi, fondendosi, come un imbroglio degno delle più romantiche giornate uscite dalla fantasia di Calderon de La Barca o di Lopez de Vega.

Sicchè, quando la luce del giorno venne a svegliarmi, mi alzai balordo e rannugolato peggio di un autore che ha passato la notte guardando la punta asciutta di una penna di acciaio. Il tempo mi teneva bordone. Quale spettacolo mi si offerse quando spalancai le imposte! O sole, o beatitudine diffusa il dì prima sull’universa natura! Più nulla! Il cielo, di