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capannello in un angolo, daccanto alla finestra per cui io avea spiato un momento prima; ma al mio giungere don Gaudenzio se ne staccò, ed io potei inoltrarmi fino al seggiolone ove avean posto a sedere il povero curato.
Egli era estremamente pallido e respirava affannosamente, comprimendosi il cuore colla mano destra, stringendo colla sinistra, tutta convulsa, quella dell’organista che gli teneva un fazzoletto inzuppato sulla fronte, e cacciava fuori dalla cravatta il mento aguzzo ad una distanza alla quale, fino a quel giorno, non era probabilmente mai giunto. Baccio, col viso stravolto parlava a bassa voce con Don Prosdocimo, i cui lineamenti severi si erano rabboniti di molto, la Mansueta guardava in cielo e non pareva accorgersi delle lagrime grosse e rare che le gocciavano sulle guancie.
Il curato mi sorrise, e parve, al movimento delle labbra, che volesse parlarmi, ma non potè; allora abbassò gli occhi e non li rialzò che alla voce di Bazzetta il quale con una chicchera fumante in mano, gli diceva:
— Ecco la camomilla; sa che le ha sempre fatto bene, vedrà che le farà bene ancora. Giù, giù, mentre è calda; si faccia coraggio.
— Quel benedett’uomo, diceva Don Anastasio colla sua voce burbera e piena di convinzione. non ha altri momenti da scegliere per venire a disturbare il signor curato? — E lui, così buono, da guastarsi la digestione per dargli udienza... a quel...
Uno sguardo di Don Luigi, che aveva finito di ingoiare la pozione, gli troncò le parole in bocca.
— Come si sente? Va meglio?... un cuscino per appoggiare la testa...