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Io uscii nel giardino sperando che mi sarebbe dato di vedere che cosa succedeva. Ma fui deluso: tutti gli sportelli delle finestre erano chiusi; e non si udiva che il burrichìo degli insetti che svolazzavano tra le rose, mentre dalla cucina veniva il suono chioccio dei piatti uscenti dal ranno.

L’abatino, che era sempre stato silenzioso durante il pranzo, mi seguì fuori dalla stanza, ed entrò in un viale ombroso che correa parallelo a quello in cui mi ero posto; e vedevo tra il fogliame la sua faccia diafana e i suoi occhioni profondi che mi fissavano con una curiosità fatta di meraviglia e di rispetto nel tempo stesso.

Certo, a quell’umile esistenza incantucciata fra le umili pareti di un presbiterio solitario e ignorato, destinato a crescervi ed a morirvi nell’ombra e nella dimenticanza; a quella debole creatura pensierosa e malaticcia a cui nessuno guardava, a cui nessuno parlava; che era lì come un arnese della parrocchia, inconscio di sè e degli altri, doveva essere oggetto di meraviglia l’aspetto di un giovane della stessa sua età, fiorente, robusto, pieno di vita, libero come l’aria, che era giunto da lontano, dalle città portentose, che parlava nuove e edificanti parole d’arte e di progresso, e che il curato, il venerando signor curato aveva accolto e trattava da pari a pari. È propria delle nature deboli la facilità di ammirare, e, per talune dì rimpicciolirsi, il sentirsi di polvere davanti ad altre che siano o sembrino più elette e più forti, diventa per loro una compiacenza, quasi una voluttà profonda ed indefinibile.

Di tal tempra pareva il mingherlino giovinetto che mi seguiva, coprendomi di sguardi penetranti e modesti. Mi nacque simpatia per lui, e, nell’an-