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Quand’ebbi finito, si avvicinò, mi stese la mano, ch’io strinsi e mi disse:
— Un amico di città? Ma, scusi sa, come può essere, se don Luigi, da vent’anni non si è mosso dal paese?
— Il tempo non è sempre indispensabile alle amicizie; voi, che siete amico di tutti, come mi pare di avervi udito dire testè, lo dovete sapere...
— Ah! il signore ha udito il discorso?....
— Sì, signor Bazzetta, qui e in cantoria.
Come il lettore vede, il piccolo mistero di cui mi aveva messo a parte la collerica eloquenza del sindaco destava in modo sommo la mia curiosità. L’aspetto da energumeno del nemico del vecchio curato, il parlar sibillino del suo convitato mi facevano intravedere il filo probabile di una congiura che la mia stima per don Luigi mi persuadeva ingiusta e malvagia e che forse il caso e la fortuna mi potevano dar di sventare.
Mi fissò nuovamente, parve riflettere, poi prendendo una rosa che pendeva lì vicino e fiutandola:
— Che lusso di fiori, disse sbadatamente, e, abbandonato il ramo che rimbalzò a raggiungere il cespo, continuò:
— Che taccola quel sindaco; uh! quando comincia a far danzare la lingua, non smetterebbe più; è una pioggia d’ottobre; è la mia morte quell’uomo. Alla messa, in piazza, nella farmacia, dappertutto, la sente la sua voce. E dover far finta di prenderci gusto! Chè, altrimenti guai! Ha un carattere.... basta... le sono seccaggini; pene e tormenti, inerenti alla vita di campagna.
— Pare, interruppi, che oggi avesse qualche grave affare pel capo.