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che continuarono senza mutare, finchè il curato ebbe spalancate le braccia.
Allora, dato un rapido mutamento agli indici, il patetico suonatore s’incurvò sulla tastiera, alzò i ginocchi, alzò le braccia e trombe e tromboni rimbombarono come uno scoppio di tuono.
Il sindaco che già si era rimesso a sedere, diè un balzo, e:
— Maledettissimo, disse, quando volete fare di queste cannonate, almeno avvisatemi prima.
L’organista volse il capo, e, certo che alcuno gli aveva parlato, e non avendo inteso a che soggetto rispose con un sorriso pieno di ringraziamenti.
La conversazione riprese con questa domanda del sindaco:
— Oggi, m’imagino, sarete invitato a pranzo.
— Per l’appunto, signor sindaco, è d’abitudine tutte le solennità.
— Senza contar gli altri giorni, soggiunse il primo con accento iroso. E seguitò:
— Ebbene ci sarò anch’io, non a pranzo, perchè sto bene a casa mia, e poi.... perchè io non sono invitato; bisogna sapere il latino per essere invitati. Ma fa lo stesso, ci sarò anch’io, vi dico, e mi sentirete a parlare.
— Via, via, ve la prendete in un modo! che vi importa mai di quei quattro palmi di prato?
— Faccio l’interesse del Comune, io. Sono o non sono il sindaco? È mio dovere. Non ho mica paura dei preti! Eh, eh, mio padre, come mi vedete, ai tempi di Napoleone, in Ispagna ne ha strozzato mezza dozzina.
— Per amor del cielo, signor sindaco..... la prudenza è la prima qualità che....