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colorato leggermente all’ingiro i caratteri, e mescolato il loro profumo di un giorno a quello eterno del libro.

Dietro una stia piena di galline chioccianti e su cui stavano sparpagliati una infinità di sacchetti e di cartocci di semi, portanti il nome della specie scritto su cartoline appese al collo, a mo’ di decorazioni, s’innalzava appoggiata al muro una immensa tela oblunga; — ai suoi lati drappeggiavano quattro bandiere tricolori circondanti colle loro pieghe le lettere cubitali, di color giallo, imitante l’oro, che dicevano: Viva lo Statuto. Quel viva però pareva fosse stato esposto alla pioggia tutto solo, tanto era sbiadito in confronto del resto del dipinto; come se il curato a imitazione degli auguri romani, lo avesse qualche volta esposto sulla porta della chiesa, senza altre parole al suo seguito, per celebrare la festa del Dio ignoto. Mi avvicinai, e scorsi sul secondo v le impronte evidenti di una raschiatura; per poco che un’unghia fosse passata di nuovo lassù, si sarebbe letto un via invece di leggere un viva. Ciò mi fece pensare alla parete d’un seminario, su quelle stesse montagne, dove avevo ammirato quest’altra iscrizione epigramma balordo di sanfedisti: Stat ut 0 (sta come zero).

I lettori vedranno in seguito come io fossi in errore, cedendo in quel momento, davanti a quel v nebuloso, a un dubbio poco lusinghiero verso il vecchio curato, e più ancora verso il giovanile entusiasmo che mi aveva così repentinamente animato verso di lui. Però l’ingiusto pensiero non durò che un minuto. Riapersi il Breviario; mi parve di vedervi specchiato il bel viso dell’uomo che vi leggeva il paradiso attraverso le rose, e giurai a me stesso che era impossibile ch’egli fosse un nemico della patria.