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Fu la prima volta, credo, che parlasse di suo figlio che nacque quella sera stessa. Ma in quegli ultimi giorni della sua vita se ne occupò assiduamente e lo raccomandò a me ed alla Mansueta che le avevo condotta.

La vigilia della morte, disse a Mansueta di porgli nome Aminta, nell’agonia essa pensava ancora alla Carbonaia!

Volle rivedere Don Luigi: il suo occhio moribondo si spense in uno sguardo di amore per lui!...

Il dottore fu ancora lui a rompere il silenzio e disse ad Attilio:

Signor avvocato, se avesse veduto la Rosilde in quei tali momenti avrebbe promesso come me di non funestare la vita dell’uomo ch’ella ha tanto amato. Quanto a Don Luigi è superfluo dirle che egli, appena sospettò i vincoli che lo legavano ad Aminta mise a repentaglio la sua pace, per sottrarlo alle torture del De Boni.

Attilio era commosso quanto me. Egli disse che era persuaso e che non avrebbe tenuto conto della calunnia del Sindaco.

Io partii quella stessa sera per Milano e l’indomani cercai un avvocato per il povero Beppe.

Il dibattimento si fece due mesi dopo alle Assise di Novara, ed io assisteva.

Beppe fu assolto.

Quando lo rilasciarono in libertà, gli andai incontro gli chiesi:

— Non siete contento?

— Non so cosa mi faccia, rispose, non ho più nessuno... e si guardava attorno smarrito, come un uomo che non sa raccapezzarsi a vivere.

Partì quella stessa primavera per l’America e non seppi altro di lui.