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le serpeggiava per le vene: le sue palpebre avevano dei toni lividi.
Il mio sospetto si mutò in certezza.
— Povera amica mia, sclamai con accento di dolore e di sorpresa.
Ella capì, diventò smorta come fosse di cera e mormorò:
— Lo sapevo...
Mi parve intravvedere nel tono della sua voce subitamente risoluta, una così profonda disperazione che mi sgomentai e per un pezzo non seppi trovar parola.
Ma quando ella mi porse la mano per congedarsi le dissi con tutto il calor dell’amicizia ch’io avevo per lei:
— Rosilde, badate ad avervi cura... promettetemi di aver confidenza in me. Qualunque cosa vi occorra — ricordatevi del vostro amico. — Io ripasserò a prender vostre nuove.
Chinò il capo distrattamente e ritornò indietro frettolosa.
Due giorni dopo ripassai da Sulzena e chiesi di lei: era sparita.
Ma prima che la settimana finisse una sera per un caso stranissimo, fui dal sospetto di un tentativo funesto condotto in una casupola del sobborgo qui di Zugliano e vi ritrovai Rosilde.
Ella s’era posta nelle mani di un’empirica per troncare le conseguenze del suo fallo.
La rampognai vivamente. Ella per un po’ stette chiusa, negò, ma le vedevo la triste risoluzione negli occhi.
Mi incollerii e mi lasciai sfuggire qualche parola contro Don Luigi.