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rose bianche e coperti di un lungo velo sottilissimo, bella, affascinante, smagliante di amore.

Al povero uomo parve una visione, egli cadde sbalordito, delirante ai suoi piedi.

Da quel giorno essi non vissero più su questa terra.

In casa non si incontravano quasi più: Rosilde, per convenienza non erasi mai seduta alla mensa del presbiterio. Ella evitava con cura di lasciarsi trovare in giardino: temeva i confronti, voleva che la sua gioia fosse fuori della vita, lontana dal reale, immensa, senza limiti. E tal fu per due mesi, in cui il povero Luigi spesse volte si sentì venire meno dinanzi all’altare e visse come rapito in un sogno. Egli non viveva più veramente che alla Carbonaia, dove dimenticava la vita, dove obblioso del suo cielo muto, impassibile egli trova un paradiso di delizie ardenti.

La povera Rosilde fu la prima a risvegliarsi — e pur troppo toccò a me il tristo ufficio di richiamarla alla triste realtà.

Un giorno ch’io mi recavo al Fontanile la incontrai per istrada: dapprima parve volesse cansarmi, — ma poi mi venne incontro ella stessa e mi accompagnò per un buon tratto. Le chiesi della sua salute con premura.

— Benissimo, rispose, ma impallidì un poco.

L’esaminai attentamente, le feci qualche altra interrogazione.

Sembrava avesse a dirmi qualcosa e non ardisse.

Allora presi il suo polso fra le mie mani, la costrinsi con delle violenze a levare la fronte, le fissai uno sguardo penetrante negli occhi. Una febbriciuola