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Tutti gli amici vennero a trovarla; molte notabilità vollero esserle presentate: ella fu per due mesi grandemente alla moda. Malgrado il divieto del medico, per due ore il giorno si teneva nella stanza di lei una sceltissima conversazione.

Un po’ la nuova speranza, un po’ la cura del De Emma cominciavano a trionfare del male. La giovinetta rifioriva. Quelli che sapevano della sua malattia dichiarata incurabile da due celebrità mediche del paese ne facevano le meraviglie.

Quando essi la complimentavano della sua guarigione, essa rispondeva:

— Non so nulla io, è tutto merito del mio genio taciturno.

Voleva dire il De Emma.

Nessuno l’aveva mai veduto.

Qualche volta egli veniva mentre c’era gente; e la Rosilde s’alzava per ricevere il «genio»; di solito rientrando congedava seria seria la compagnia.

Si cominciò a scherzare del misterioso personaggio: poi ad esserne curiosi.

Il baronetto Mac Snagley aveva un fratello che soffriva di cuore: pregò Rosilde di presentargli il suo medico.

De Emma ebbe la sorte di guarire il giovinetto Arturo Snagley, idolo della famiglia.

La sua riputazione si estese nella alta società di Londra.

Parecchie altre cure felici finirono per metterlo in voga.

La sua non era soltanto fortuna. Per il primo aveva indovinato, allora al tempo delle cliniche dirette e operative, l’importanza dell’igiene nella cura delle lente alterazioni organiche: non violentava il