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De Emma si curvò e, posate le proprie labbra sulle sue, con quanta forza aveva nei polmoni inspirò a più riprese nel petto della giovane.

Dopo un quarto d’ora un debol soffio indicò che le funzioni respiratorie si rianimavano.

Due o tre curiosi erano riusciti a penetrare in casa col dottore; mentre egli era curvo intento all’operazione sporgevano il capo sopra le sue spalle per vedere.

Uno di essi, un vetturale della vicina stazione, sclamo:

— Tò la ballerina della palazzina verde. Qualcun altro confermò le sue parole. De Emma domandò:

— Sta qui vicino?

— A due passi.

Il luogo non era adatto alle cure necessarie nella crisi che stava per dichiararsi. Per suo ordine i barcaiuoli la presero e la trasportarono in casa sua.

Colà nessuno s’era accorto della sua assenza; un servitore che dormiva in anticamera si alzò in soprassalto e, tutto sbalordito, li guidò nella camera della signora.

Attraversando l’appartamento la triste comitiva si imbattè nel finale di un banchetto d’uomini. Nella sala da pranzo dormicchiavano distesi nella posa di volgari ubbriaconi lords e gentlemens dei più noti del gran mondo.

I meno cotti, all’inatteso spettacolo, pensando si trattasse di una burletta di quella matta di Rosilde, che quella sera li aveva invitati, come diceva il biglietto «all’ultima cena» levarono alte risa e batterono le mani; e afferrato un candeliere fecero scorta recitando le preci dei defunti.