Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 246 — |
ma è una rassegnazione forse meno invidiabile dell’abbrutimento e della pazzia.
Guardata faccia a faccia la via del dovere, l’angusta via del dovere, come la chiama il poeta, quella che lo separava per sempre da Jenny, il giovane De Emma non trovò il coraggio di batterla che esagerandone le scabrosità, moltiplicandone le spine, tenendo a bella posta aperte e sanguinolenti le piaghe che gli rallentavano il cammino.
Il suo dolore a poco a poco andava trasformandosi in voluttà. Come il viaggiatore del deserto, sorpreso dalla notte, poichè ha acceso un gran fuoco onde tener lontane le bestie feroci, per paura di addormentarsi si abbrucia un dito, e come appena lo spasimo è cessato, lo riabbruccia, e così continua finchè l’alba tropicale non spunti in suo aiuto; così il signor De Emma cercava la propria salvezza, e, povero illuso, credeva trovarla, martirizzandosi nella fiamma fatale di quell’amore; nè si accorgeva che in tal modo, lungi dall’allontanarli si riscaldava e rinvigoriva ogni sorta di mostri nel cuore.
Ragionava, sillogizzava sulla sua passione; ciò che è terribile. Si arrestava, avvolto in certi pensieri che, se altri avesse potuto leggergli dentro all’involucro cerebrale avrebbero fatto dubitare della sua ragione.
Continuava, ma macchinalmente, gli studi di medicina; il resto del tempo impiegava (oh dov’era l’uomo serio d’una volta!) rileggendo e meditando le istorie innumeri degli amori e degli amanti infelici.
Con esse cominciò ad insinuarsegli nell’animo il veleno che dalle pagine sublimi del Werther e dell’Ortis si era versato in tutta la letteratura dell’epoca.