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destra del tavolo nereggiava gettando un’ombra lunga e tagliente sulla parete, una libreria.
Le novanta volte su cento voi potete giudicare del carattere, delle abitudini, degli affetti di un uomo dal frontispizio dei volumi schierati nella sua libreria. E ciò sopratutto in quelle silenti dimore delle creature pensanti, sepolte nella monotona vita della provincia, case bianche che serbano una tal aria di modesta aristocrazia, se così è lecito esprimermi, in mezzo al bottegume ed al borghesume; oasi strappate dagli uragani della vita al giardino della civiltà, dalla civiltà dimenticate, ma che il viaggiatore filosofo saluta e benedice talvolta colla pia gioia del nomade nel deserto. Là non troverete le cento nullità letterarie di cui si pasce ogni giorno la curiosità cittadina; il libercolo, l’opuscolo di circostanza, il volume a margini sterminati, ultimo portato della speculazione libraria, li cercherete invano sotto ai vetri puliti di quegli scaffali che racchiudono tutte le memorie di un passato, pane quotidiano di spiriti che, per lo più tuffati in un ozio meditativo, non hanno bisogno di nuovi sapori, di sali più corroboranti per innalzarsi al disopra delle monotone realtà che li circondano.
La libreria, la famiglia rispetto alla quale non siete nè figlio, nè padre, ma che vi può dare tutte quelle gioie che stanno chiuse in queste due parole, interrogatela quando è patrimonio dell’uomo solitario, dell’uomo esiliato dalla società e che ha in essa creata la società sua. Lo conoscerete.
I libri del curato di Sulzena erano pochi ma eletti.
Fatta astrazione delle numerose edizioni della Bibbia, dei suoi dizionarii e commenti, delle opere dei Santi Padri, e dei numerosi volumi di giuri-