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Ma ciò non sconfortava il giovane De Emma: la calma, la solitudine, la prepotente idea del dovere, avrebbero ben presto rimesso a sesto ogni cosa. Una nuova barriera, e questa più alta assai, gli si presentò davanti come appena ebbe frequentate le aule della Università e avuto modo di scambiar parola con condiscepoli e professori. Spirito avanzato quanti altri mai, e dell’avanzare innamoratissimo, non si sbigottì ma fremette quando s’accorse che, se volea degnamente percorrere la carriera intrapresa e percorrerla nella via del progresso, gli era forza tornar indietro fino a metà del cammino percorso ed ivi, dimenticata la strada rifatta piena d’ombra e di polvere, incamminarsi per opposti sentieri, fino a quel giorno appena intraveduti, e che adesso gli apparivano sfolgoranti di luce e di verità.

Mentre in Italia la medicina, per opera specialmente del grande Morgagni, cominciava ma appena ad abbandonar l’antico spirito di sistema per un illuminato eclettismo, e ove pochi ingegni preclari si sprofondavano nello studio dell’anatomia patologica, e da pochissimi o da nessuno determinavasi ancora la sede delle malattie nè descrivevansi le alterazioni che producono, ed erano trascurate quand’anche non derise le ricerche microscopiche e l’analisi dei liquidi, — in Inghilterra, le dottrine di Mesmer, spuntate al tramonto dell’ultimo secolo, già preoccupavano tutti gli spiriti più elevati e già avevano aperti nuovi orizzonti al pensiero; Hanhemann contava ogni giorno più numerosi i suoi satelliti; e le scoperte e le indagini di Jenner, di Corvisart, di Avenbrugger, di Loenner e di Pinnel, il redentore degli alienati, avevano rivoltata come un guanto la scienza.