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A qualche miglia da Sulzena passammo innanzi ai carabinieri che menavano il Beppe.
Lo chiamai per nome.
Non intese.
Camminava colle braccia ammanettate in croce sul petto, colla testa china, col fare stralunato di un uomo che ha l’animo fuori di questo mondo.
XXVII.
Il dottore era tanto impaziente di raccontarci la sua storia quanto noi di ascoltarla.
La strada c’era sembrata lunga. Perciò non appena arrivammo a casa sua, ci chiudemmo nel suo studio e di tacito accordo si venne subito all’argomento.
Egli parlò per più di tre ore col linguaggio sobrio e al tempo stesso colorito di un uomo di mondo che discorre di cose serie.
A parte la speciale gravità delle circostanze, il suo racconto era per sè stesso molto interessante. E tal sembrerebbe così anche ai miei lettori, se potessi ripeterlo com’egli lo espose. Ma sono costretto a riassumere alla meglio
IL ROMANZO DEL DOTTORE.
Il signor De Emma aveva avuto una gioventù burrascosa. Travolto, fin dai primi anni nelle fortunose vicende del 1821 aveva visto il padre, antico e venerando patriota morire in una delle terribili fortezze dell’Austria ed egli stesso aveva dovuto al nome di quella vittima illustre di poter sfuggire