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Era un bellissimo giovane con una elegantissima barba nera.
Avevo cominciato appena ad ammirarlo che egli, balzato a terra, si buttò con una festevole esclamazione di sorpresa fra le mie braccia.
— Emilio, non mi conosci più?
E chi diamine avrebbe potuto ravvisare sotto quelle apparenze civili e in quel grave ufficio il mio Attilio, l’allegro amicone di tre anni prima, il mio complice in versificazione ed altre capestrerie?
— Che, domandai, sei diventato un uomo serio?
— Quasi.... tanto da farti ridere, brigante: e tu?
— Io so far di tutto fuorchè delle cose sensate.
— Taci, credi tu che le mie requisitorie lo siano?
Gli astanti ci guardavano a bocca spalancata strabiliando di sentire un avvocato fiscale parlare con tanta disinvoltura.
Attilio fu il primo ad accorgersene. Ricordò la la sua missione e chiese di vedere il ferito.
— Vieni, ti condurrò io, gli dissi.
Il cancelliere rimase indietro a levar da una grossa tasca che teneva in groppa la carta e le penne per stendere l’interrogatorio.
Noi lo precedemmo alla casa del Sindaco. Incontrammo per via don Sebastiano e lo speziale che a malincuore s’avviava ad aprir la sua bottega.
Seppi da lui che il signor Angelo era tornato in sè verso il far del giorno ma declinava rapidamente. Attilio incaricò l’inserviente comunale di avvertirlo del suo arrivo. Noi lo seguimmo su per l’incomoda scaletta di legno. Appena entrammo nella camera, prima ancora ch’egli avesse aperto bocca, il signor De Boni, a cui l’inserviente aveva fatto l’ambasciata,