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frequente; un tremito convulso squassò le membra del moribondo.

Poco dopo cominciò il delirio.

La ferita del collo e la tumidezza da essa prodotta rendeva quasi inintelligibile quel ch’egli diceva.

Erano, per quel che ho potuto comprendere, bestemmie, imprecazioni, a cui si mescolava di frequente il nome spregiativo di «chierica».

Senza dubbio voleva designare il curato. L’infelice minacciava il suo avversario come se possedesse ancora tutte le forze della sua salute e della sua influenza.

La crisi durò tutta la notte. In quel mezzo capitò don Luigi.

Per lui le persecuzioni sofferte non erano un motivo sufficiente per credersi dispensato dal prestare i suoi caritatevoli uffici verso un suo parrocchiano.

Il sant’uomo entrò nella camera senz’ombra di ostentazione, dimessamente, col contegno di chi compie un doloroso dovere.

Il dottore non gli permise di accostarsi al letto.

Senza dar retta alle obbiezioni insipide dello speziale che annusava con ingorda ansietà lo spettacolo di uno scandalo, gli fe’ capire che la sua visita non era opportuna.

Il sindaco continuava nei suoi farnetici.

Don Luigi potè intendere alcune delle sue parole: una crucciosa, una sincera afflizione si dipinse sul suo volto. S’arrese alle rimostranze del dottore ed uscì piangendo.

Furono queste le sole lagrime che vidi intorno a quel letto.

Venne in vece sua don Sebastiano.