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Sbuco sotto la casa del Sindaco; sento la sua voce aspra, collerica nel tinello che strapazza la fantesca. Tiro dritto, infilo la strada del villaggio.

Una figura nera viene alla mia volta; poi si ferma e torna indietro. Io proseguo: lo sconosciuto mi precede un tiro di pietra; e ad un tratto sparisce non so dove.

Poco più in là passo innanzi alla casa della povera Gina.

È la seconda volta che in una sola sera penso a lei.

L’immagine di quella disgraziata mi s’affaccia al primo mio giungere in Sulzena ed ora, alla vigilia della partenza, non potevo allontanarla dalla mente.

Avvicinandomi al presbiterio incontro Baccio che mi passa accanto frettoloso senza vedermi.

Entrando nel cortiletto mi sgomenta un po’ il trovarvi il cavallo del dottor De Emma.

Fosse malato don Luigi?

Mansueta si affrettò a rassicurarmi. Il dottore è venuto da sè per affari; da un’ora è chiuso col curato nello studio.

Salgo ad aspettare la cena nella mia camera: la finestra verso strada è aperta.

Nel villaggio è buio; un filo di luce che esce dal nostro portone taglia a mezzo la piazzetta del sagrato.

Nel cortile scalpita la cavalcatura del signor de Emma: s’ode qualche belato fioco come venisse di sotterra.

Il colloquio nello studio si prolunga.

Un passo s’avvicina. È Baccio che torna. Don Luigi e il dottore gli vengono incontro a’ piè della scala. Sento il sacrestano che dice:

— In casa non c’è.