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poter disporre di quel gruzzolo di vite come si fa di un alveare.

Istintivamente mi ero seduto e guardavo.

Ad un tratto un altro particolare attrasse la mia attenzione.

Da quella parte il terreno degli orti di Sulzena si divalla rapidamente tracciando una leggera concavità, il cui terreno sassoso e scheggiato, è qua e là rivestito da radi cespugli di ginepro.

Notai che dei massi staccandosi a certi intervalli saltellavano giù a precipizio per quella scesa e balzavano nel torrente sottoposto.

Osservando meglio potei scoprire la causa di questo franare poco naturale nella sua continuità; era una persona, un uomo in abito scuro che di quando in quando spiccatosi da un cespuglio si lanciava ad afferrare quello più vicino che gli soprastava. Così a salti e sforzi intermittenti saliva verso il villaggio.

Chi poteva essere costui che preferiva alla strada comoda che sale dalla parte di ponente, questo sentiero da scoiattoli? Due sole ipotesi possibili, — uno cui preme non farsi scorgere, — oppure un matto come me che abborre le strade battute e ama meglio fiaccarsi il collo che seguir gli altri.

Questa seconda supposizione era la più probabile.

La simpatia, ispiratami da questa somiglianza di gusti, mi vinse e indugiavo guardando il curioso lavorio di quello sconosciuto, — finchè un’ora dopo lo vidi sparire fra due siepi spostando l’ultimo rovinìo di pietre che celebrò distesamente il suo trionfo.

Allora anch’io mi mossi.

Cominciava ad imbrunire.

I colori del paesaggio erano spariti: il quadro acquistava il grandioso indefinito del bozzetto. Spari-