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La requisitoria era compiuta e la condanna non si faceva troppo aspettare.
La mattina seguente accadde a Baccio cosa tanto straordinaria che egli, per la prima volta in trenta anni di esercizio, si lasciò precedere nel suonare il mezzodì dal sacrestano di Sumasco, noto per la sua negligenza. E c’è di peggio.
Egli piombò nello studio del curato tenendo in mano, per distrazione, il raggio d’oro delle grandi solennità.
Mansueta gli corse dietro, don Luigi si avanzò rapidamente ad incontrarlo, ma entrambi dimenticarono tosto la stranezza del suo contegno perchè egli balbettò:
— Il sindaco la vuole in sacristia.
Incredibili parole che, per l’affanno, non potè ripetere.
Don Luigi era già uscito per corrispondere alla richiesta del sindaco, che il pover’uomo era ancora sbalordito ritto in mezzo alla camera, Il signor Angelo non era certo venuto con delle buone intenzioni.
Il colloquio fu breve, non durò più d’un quarto d’ora, che però alla nostra ansietà sembrò interminabile.
Nessuno assistè. Il linguaggio del sindaco deve essere stato violento al solito: uscito dalla sacristia, sul sagrato si volse indietro e disse:
— Pensateci dunque: fra tre giorni o mi date quelle carte o preparatevi a ciò che vi ho detto.
Don Luigi, pallidissimo, rispose:
— Sarà quel che Dio vorrà.
Non capivo la minaccia del sindaco, e il curato non mi fe’ quel giorno alcuna confidenza.