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Era tanto soprappensiero quando entrai, che non si mosse.

Aveva fatto l’ultimo tratto di strada a piedi con quella belletta; era stanco, infangato, — ma s’era fisso di aspettarmi.

Indovinai che il buon prete aveva d’uopo di uno sfogo.

Gli parlai di Aminta, supponendo che la separazione da lui fosse il motivo della sua afflizione.

Mi disse che l’aveva lasciato felicissimo della sua nuova condizione.

Poi ad un tratto mi domandò:

— Credete, caro Emilio, che abbiamo fatto il suo bene?

Risposi che non si poteva dubitarne.

— Ebbene, guardate, soggiunse dondolando tristamente il capo più curvo del solito, guardate, c’è chi ne dubita.

— Oh, qualche ignorante.

— No, sono persone savie e prudenti, ma mal prevenute.

Quel giorno a Novara era stato a visitare il Vicario, il quale, come sapesse lo scopo della sua gita, prima quasi che aprisse bocca, gli aveva parlato di Aminta soggiungendo che era costretto di esternargli il suo biasimo per avere stornato quel ragazzo dalla carriera ecclesiastica. Poi, senza lasciargli dire una parola a propria discolpa, aveva soggiunto che la cosa farebbe scandalo, molto scandalo; era vero il fatto sì o no? Non poteva negarlo; dunque non ci era altro da dire, — egli non sapeva davvero come pretendesse giustificarsi, — che nome darebbe a un capitano che facesse disertare i soldati; e pensare