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lunghissimo tratto senza risvolte e senza traverse: per dippiù era selciato a pietre tanto grosse ed ineguali che si sarebbe inteso un passo lontano un mezzo miglio. In fondo c’erano degli orti a quell’ora deserti. Non potevo essere veduto che dalla casa che stavo osservando. Ma pienamente tranquillo per tutto il rimanente io ero libero di concentrare sovr’essa tutta la mia attenzione. Al minimo segno era presto fatto: due passi più in là svoltavo la cantonata e mi perdevo fra la siepi di sambuco dell’ortaglie.
«Il lume era ritornato nella camera, ne vedevo il suo rossiccio riflesso nella strada. Tesi l’orecchio. Il dottore era entrato in quella camera che doveva essere la cucina del povero appartamento. La finestra stava socchiusa per la grande caldura. S’era in agosto poco dopo la metà: una frasca del ferragosto erigeva ancora il suo ispido pennacchio di pino sopra una costruzione poco lontano.
«Distinguevo la voce del dottore, sebbene capissi poco quel che diceva. Parlava in tuono di garbato rimprovero, interrompendosi frequentemente. Nell’intervallo udivo un singhiozzo sommesso, poi una sottile, una delicata vocina da donna. Era certo l’incognita dei miei sospetti.
«Ebbi... come si fa a non avere la tentazione di guardar dentro? una di quelle tentazioni a cui non si resiste. Una sola occhiata basterebbe. Mi appiatto contro il muro, mi rizzo sulla punta degli stivaletti, mi aggrappo al davanzale di pietra e caccio la mia fronte fra due vasi, uno di basilico, e l’altro di reseda, profumi di tutta quella miserabile strada.
«E guardo e vedo la signorina Rosilde che aveva visto spesso quando abitava dai De Emma.....