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Dio gli mandava e portava la sua croce senza tirar mai un lamento.
«Quando non faceva freddo, e c’era un po’ di polenta in casa, e il male dava un po’ di tregua alla mamma, egli diventava subito allegro e ci faceva ridere colle sue storielle e le sue barzellette.
«Egli andava matto per il suono e per il ballo. Era stato soldato di Napoleone e musicante di reggimento; egli sonava il clarinetto in guisa da far stordire. Lo venivano a cercare da molte miglia lontano per tutte le sagre dei dintorni e non si faceva festa senza di lui; era conosciuto per questo da tutte le due parti del Ticino collo stranome di suonatore.
«In casa, tutte le ore che gli restavano, le dedicava alle sue arie. Nei molti paesi dov’era stato, in Francia, in Spagna nei paesi tedeschi, avea imparato molte maniere di balli, e la domenica, dopo vespero, ce ne insegnava qualcuno.
«Con me era fatica buttata; non ho mai saputo ballar bene una monferrina; poi non mi piaceva. Ma la Rosilde somigliava a lui in tutto ed anche nella sua passione: imparava a meraviglia tutte le riverenze, e gli scambietti e le giravolte e il papà si sfaceva dalla contentezza a vederla. Poverino, se avesse potuto prevedere l’avvenire! Già il curato lo diceva che quel gran ballare doveva portarle disgrazia. Ed ha indovinato veh!
«Tutti ne facevano le meraviglie e correvano a guardarla quando saltellava davanti all’uscio di casa.
«Una volta passò di là un gran signore, il marchese di Morzate, — stava a Milano e aveva qualche possesso vicino a Castelletto.