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mondo, le più indiscrete curiosità. Non potei resistere alla tentazione.
Apersi l’astuccio, e, immaginatevi la mia sorpresa, ci trovai il ritratto in miniatura di una ballerina nel suo costume di teatro.
Era una figura di singolare bellezza; un visino diciottenne, delicato, pallido, assottigliato dal dolore o dalle infermità, un’aria di bontà capricciosa, una soave fierezza di fanciulla viziata.
Una corona di rose bianche le cingeva il capo da cui scendevano lunghi riccioloni di capelli biondi: altre rose le inghirlandavano la vita sottile e ornavano il gonnellino azzurro.
Ella rassomigliava a qualcuno che io conosceva: ma non sapevo a chi.
Ero tanto assorto cogli occhi sul ritratto, a frugare nella mia memoria per evocare al confronto tutte le fisonomie femminili che avevo prima vedute,— che non mi accorsi della presenza di Mansueta, se non quando la sentii esclamare:
— Oh il ritratto di Rosilde che credevo avere perduto! Dove l’aveva cacciato?
Rosilde, la madre di Aminta! Diffatti ella aveva i suoi lineamenti.
— Vostra sorella era ballerina! domandai.
— N’è vero che disgrazia? sclamò la buona donna tentennando dolorosamente la testa, E soggiunse:
— La poveretta non ce n’ebbe colpa: ma ha pur fatto una dura penitenza.
Si capiva dall’intonazione delle sue parole che ella voleva un gran bene alla sorella e che sentiva il bisogno di scagionarla di una cosa che a lei mon-