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siva obbedienza, — ma elezione volontaria: e tale la voleva negli altri.

Aveva una frase sua per condannare le professioni forzate.

Diceva: — l’olio di mallo va tutto in fumo.

Egli aggiunse quella sera queste confidenti parole:

— Io ho scelto volentieri questo mio stato: era il solo che si confacesse al mio carattere; l’ho abbracciato con trasporto come una tavola di salvezza per il mio spirito saturo del mondo.... Eppure.... quanti errori non ho commessi!...

Era la seconda volta che mi parlava di sè e sempre per accusarsi!

— Noi abbiamo forse evitato molte disgrazie, mi disse poi.

Noi si faceva questi discorsi passeggiando sotto il pergolato in attesa della cena.

In uno dei tanti giri che facemmo, svoltando rapidamente levai a caso lo sguardo ad un finestrello mezzo nascosto nel fogliame di un melo tirato a spalliera: e mi parve di scorgervi una figura che si ritraesse frettolosa nell’ombra.

Quel finestrello illuminava un corridoio che dalla sacrestia metteva all’appartamento di don Sebastiano.

Mi venne il sospetto che il cupo vicecurato ci stesse ascoltando.

E lo dissi a don Luigi.

Si rabbuiò un momento; poi, data una crollatina di spalle:

— Non monta, sclamò; in fin dei conti non facciamo nulla di male.

Ciò era vero; ma i suoi sentimenti elevati, purissimi potevano essergli imputati a colpa da animi piccini.