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— Bravo, così va detto.

Figuratevi l’effetto di questa audacia inaudita.

Seguì un cupo brontolio. Poi il sindaco si affacciò alla finestra. Era livido di collera.

— Che intende dire lei? mi domandò.

— Che Leonardo ha ragione, risposi ridendo.

Il sindaco mi diè un’occhiata furiosa. Ma tacque. Il che dimostra che nonostante la sua riputazione di brutalità egli sapeva all’uopo anche essere prudente.

Si ritirò e l’adunanza si sciolse.

Il signor Bazzetta venne a riprendermi e mi chiese celiando per qual ghiribizzo avevo voluto contraddire il sindaco. Egli non sembrava malcontento della scenetta e mostrò un ingenuo rammarico che non avesse avuto altro seguito. Però si compiacque di avvertirmi con quel suo favorito fare misterioso di guardarmi dalla collera del signor De Boni.

Visto che non riusciva per tal guisa al desiderato intento di impaurirmi mutò discorso e soggiunse:

— Vedete che Don Luigi fa male ad incaponirsi a quel modo: abbia torto o ragione, la maggioranza non è per lui. Avete inteso, benedetto uomo, una perla d’uomo, lo ammetto; sono il primo a riconoscerlo, — ma caparbio, caparbio, — e per un uomo di chiesa non è conveniente.

Non mi sentivo in vena di discutere e non volevo d’altra parte sentir maldicenze sul conto del mio ospite. Perciò mi sbrigai del molesto compagno senza troppe cerimonie e me ne tornai al Presbiterio dove, per colpa della mia distrazione, il riso s’era fatto lungo.

Dacchè egli entrò in casa del curato, Aminta ed io divenimmo compagni inseparabili. I nostri due