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gura del sindaco, e passandoci innanzi ci diè una breve occhiata di traverso.
Il signor De Emma corrugò la fronte e mormorò: — poveretto, egli fa una dura penitenza! povera Rosilde se la lo vedesse! e non poterlo soccorrere! maledetto sistema di spiritualistiche ipocrisie!
Poi, accortosi ch’io lo guardavo con curiosa ansietà di penetrare le sue parole, tacque e s’avviò a capo chino.
A me rimordeva d’essere la causa di quella nova testina. E mi persuasi come, il più dei casi, i consigli sia ottima cosa tenerli per sè.
Anche in agosto, la sera, in montagna, un buon fuoco è sempre una gradita compagnia.
Intirizzito dalla brezza pungente che s’era levata al cadere del sole, mi recai in cucina.
Mansueta seduta davanti ai tizzoni rimondava delle patate per la minestra e intanto teneva d’occhio la pentola che brontolava in mezzo al camino.
Ella non mostrava la sollecitudine dell’altre volte; una delle sue bravure era quella di levare la peluria tutta intera e di farla cadere a terra a spire come la scoria di un serpentello: ma quella sera la rompeva ad ogni momento e i pezzetti saltavano nel piattello, — s’interrompeva spesso e si poneva la mano sugli occhi come per tergere qualcosa che le facesse velo alla vista.
Finalmente in uno di questi intervalli la pentola levato il bollore traboccò sulle brace che crepitarono e stridettero annerandosi quasi dalla vergogna dell’inaudita trascuranza di Mansueta. La buona vecchia non resse a tanta mortificazione: l’afflizione che l’accorava irruppe.
Mi contò piangendo che aveva visto il nipote.