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far le smorfie e si contentava alla fine di dire: — che originale che siete!

Sopratutto si compiaceva di sentirmi a raccontare dei miei viaggi. Io ho cominciato di buon’ora a girellar per il mondo a mio talento: a quel tempo conoscevo tutti i valichi delle nostre Alpi, ero stato in Bretagna, in Normandia; avevo dimorato a Parigi; e conosciuto colà quella generazione, per cui Victor Hugo ha scritto Les Misérables, un’epopea, e Baudelaire Les fleurs du mal, un’imprecazione, cesellata nel diamante — avida delle alte cose che le sfuggono, sdegnosa delle basse che l’assaltano, generazione crucciosa che prova il rimorso prima del peccato, per cui il piacere è un cilicio che gli dilania il petto: — avevo posato l’orecchio su quel grande cuore dell’umanità e ci avevo sentito con una gioia spaventosa gli stessi battiti morbosi del mio; le stesse soffocazioni d’ideali, le stesse febbrili concitazioni d’istinti. Io gli descrivevo il grande malanno, di tutti noi venuti al mondo nello strettoio di un grande peccato e di un grande ignoto; glielo descrivevo col linguaggio crudele del notomista e del clinico che è la sola e la dolorosa conquista della nostra filosofia, linguaggio che incide ed uccide....

Quell’anima buona pendeva dalle mie labbra.... una avidità ingenua, insaziabile lampeggiava nei suoi sguardi scintillanti, — l’avidità di Adamo per le tentazioni della scienza del male.

Poi, quand’io avevo finito, scoteva la sua nobile testa come chi rinviene da un fascino opprimente, e diceva sospirando:

— Ah! la vostra vita non è soltanto oziosa contemplazione, — ma è la lotta, — ed è anche la vit-