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del Monsignore incalzava tosto più severa, più diffusa e accentuata, persisteva su certe parole che venivano sino al mio orecchio: decoro... convenienza... riguardo. Poi tacquero entrambi; io sentivo dallo scricchiolar degli scarpini nuovi sul pavimento di legno che Monsignore passeggiava, Dopo mezz’ora il colloquio ricominciò: e vi si era aggiunto una voce, quella cupa del signor Angelo. Egli pareva preso da una gran collera, che frenava a stento e che irrompeva in esclamazioni e in interiezioni. Il Vescovo lo riprendeva vigorosamente ogni volta, e continuava a parlare in tono di rimprovero. Mi ricordo d’aver inteso il signor Angelo a strillare: — le prove, le prove, — e Monsignore rispondergli con recisa fermezza: — le prove ci sono, le abbiamo.
In quella Mansueta venne a prendermi; mi vestì in furia e mi condusse abbasso: la buona zia mi parve più amorosa del solito: era inquieta— ed anch’io lo ero. Il colloquio durò quasi due ore: finalmente il signor Angelo discese, quel suo viso sinistro che ci faceva scappare noi bambini, era sconvolto dal furore. Io mi trovavo sulla soglia e non fui in tempo a cansarlo: egli mi diè un gran calcio che mi mandò ruzzoloni sui ciottoli della strada. Fu quello il suo primo atto di autorità a mio riguardo. — Voi sapete che non è stato l’ultimo di tal genere...
Povero ragazzo, mi faceva compassione. Era tanto avvilito che non poteva neppure nutrire rancore contro il proprio aguzzino.
Egli continuò:
— Qualche giorno dopo, la zia cominciò a parlarmi di andare col signor De Boni. Aggiunse per ispiegazione che egli era parente del padre mio e che egli voleva così e ch’io dovevo obbedire. Figuratevi il