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cinque ma venti leghe... quanto al resto... Il resto era di ritornare a casa, e al più presto possibile.

— Grazie, dissi al bel giovanotto; ella è proprio il figlio di suo padre, il figlio della Provvidenza! Oh! fa tardi, se si ritornasse laggiù? Mi aspettano, sa? e se ella vuol far tappa nel tugurio della mia Gina, — è un’amica del di lei babbo, la dev’essere una festa davvero!

Il signor Arturo, — Baccio tu lo conosci, — aggradì l’offerta.

Ci incamminammo, aggrappandoci alla meglio per gli scogli irti di sterpi. Ma la via del ritorno par sempre buona. Almeno sembrava tale allora per me.

Beppe parlava come un oratore che non sa, o meglio non vuol venire alla perorazione.

Bevette un bicchier di vino offertogli da Baccio e, asciugatasi di nuovo quella fronte piena di passato e di avvenire, continuò ma con una inflessione di voce e con un atteggiamento che accennavano alla catastrofe:

— Sissignori. E rividi, che non mi parea vero, la cima del mio campanile, e poi i fumaioli dei vicini, e finalmente infilai il viottolo che mena alla mia casa.

Per quanto fosse stata posta la strada fra le gambe, la notte ci aveva precorsi.

A cinquanta passi dalla mia ortaglia chi mi vedo venir incontro?

È mio padre, il mio padre ottuagenario, che non aveva fatto, a mia memoria, più che non faccia di cammino un bimbo appena uscito di fascie.

E mi dice, spalancando le braccia:

— Se Dio vuole! Sei qui! Che spavento? E la tua Gina?