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miei vecchi, ho voluto bene alla Gina, onestamente, e l’ho sposata da onest’uomo; ho cercato di tirar su il meglio possibile i figli che la Provvidenza mi ha dato... perchè ci deve essere un cane?... E, sentendomi serrarsi i pugni e affogarmi della voglia di bestemmiare, domandavo scusa al Signore e facevo voto di starmene cheto ed anche....anche di perdonare....— ma.... perdonare.... purchè, purchè.... e il pensiero che colui potesse toccar, fosse con un dito anche, soltanto un lembo di una manica di Gina, mi faceva ribollir il sangue daccapo! E le parole del signor curato che poco prima pareva mi avessero un po’ sollevato, allora mi suonavano all’orecchio con un effetto del tutto diverso. «È un uomo capace di tutto!» Che tutto? Tremavo, e gelavo e bollivo. E se Gina non mi avesse detto le cose che a metà?... Infelicissimo uomo!... Nessun pennello, nessuna penna avrebbe potuto ritrarre l’indefinibilmente profonda espressione di dolore e di rabbia, di abbattimento e di energia che in quel momento appariva in quella faccia smunta su cui le lagrime non scorrevano più.

Io e Baccio attoniti, rattenendo il respiro, non battendo ciglio, lo guardavamo immobili e atterrati ugualmente; egli, semi-idiota e vecchio montanaro, ed io non montanaro, non semi-idiota e non vecchio, affratellati da due sentimenti di pietà che nella bilancia di Dio certo avrebbero pesato lo stesso.

E Beppe, alzatosi e camminando a lunghi passi per la cucina, continuava:

— A questo dubbio che mi afferrò per il collo come una tenaglia rovente, restar un minuto ancora immobile e allo scuro, sarebbe stato lo stesso che morire.