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dei forestieri, nella più spensierata gaiezza, vera Bahylo minima, come fu allora definita.

Un grande testimonio di quel periodo fortunoso fu Carlo Porla, il tenace odiatore "di forestee". Egli chiese di far parte della Società del Giardino nel 1808, e vi fu ammesso il giorno 8 Maggio, su proposta del socio Cucchi.

Certamente il Porta contava dei vecchi amici in Società, come quel Bolchini, che ne fu il fondatore e per quindici anni presidente; e siccome egli amava spesso visitare le osterie suburbane e vi dedicava dei brindisi (alcuni rimasero famosi), dovette certo aver conosciuto le eccentriche e rustiche sedi primitive di quell’accolta di autentici ambrosiani, in mezzo ai quali ritrovava il suo buon ambiente nostrano, a lui tanto caro, e da lui tanto difeso contro l’invadenza straniera.

Nella nuova sede di via Clerici, all’epoca della sua ammissione, il Porta trovava però la Società radicalmente trasformata. All’elemento originario un po’ democratico, era venuto a mescolarsi e forse a sovrapporsi, per le ragioni ora ricordate, un elemento più scelto e aristocratico. Troviamo fra i soci d’allora un principe Falcò, un Visconti, un Gallarati, Cogliati, Venino, Monticelli, Albrisi, Barni, Lechi, Manzi, Sormani, Tomielli, Silva-Ghirlanda, e molti altri nomi dell’aristocrazia lombarda, misti ad altri dell’alta borghesia, del commercio, dell’arte.

Come doveva trovarsi il Porta in questo ambiente? Da alcuni fu asserito che egli fosse un feroce odiatore dei nobili, come di preti e frati. Ciò non è esalto. Egli era uno spietato flagellatore dei vizi e delle debolezze di una casta, ma non un demolitore della casta stessa. Che se nelle sue poesie usava volontieri il più fiero sarcasmo contro indegni ministri della Chiesa, noi vediamo, per esempio nel Miserere, che mentre egli fustiga il poco edificante contegno de "duu strafusari de pret vicciurinatt" nello stesso tempo si professa credente e osservante; e che quando gli si offriva l’occasione, sapeva lodare i sacerdoti onesti con espressioni inusitate di rispetto e di dolcezza, come nella pittura che fa nella "guerra di pret" del buon "curat de San Sist, don Fruttuos".

Lo stesso possiamo dire dei suoi rapporti colla nobiltà. All’epoca di cui parliamo, la rivoluzione francese aveva scosso nelle sue solide basi alcune vecchie istituzioni, e molte idee erano considerate rancide e travolte, di fronte al soffio novatore che spirava d’oltralpe. Alcuni rappresentanti della casta nobiliare mal sopportavano di dover rinunciare a privilegi indiscussi, e ad abi-