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bile che i maggiori siano già noti; quelli che lasciano traccia sulle nostre negative sono pugni di materia, vero pulviscolo cosmico, i cui granelli si possono paragonare per le dimensioni loro agli isolotti del Mediterraneo. A quale pro’ adunque e Palisa e Charlois e Wolf e Millosevich si affaticano per rintracciarne di nuovi, fra le miriadi di stelle minutissime che popolano la zona zodiacale?

Argelander, Schönfeld, Gould, Palisa, Peters hanno segnato nei loro atlanti di carte celesti parecchie centinaia di migliaia di stelle; di gran parte la Società astronomica fissa con esattezza la posizione nel cielo. Perchè si è iniziato il lavoro immane di fotografare tutto il firmamento? A che serviranno i milioni e milioni di stelle rappresentati sopra trentatremila lastre? Era proprio necessario convocare per questo un congresso internazionale a Parigi? E distribuire l’opera fra 17 osservatorii sparsi su tutto il globo? E spendere trentacinque mila lire per ogni cannocchiale fotografico? Si pensi, trentacinque mila lire, che anche il nostro Governo ha speso, nelle presenti sue condizioni: una cosa addirittura enorme! Quasi il mantenimento per un anno di dodici soldati nell’Eritrea!



Il volgo e i dotti sono concordi, adunque, in Italia almeno: gran bella cosa l’astronomia: da ammirare, da conservare, imbottigliata nello spirito, come i pezzi anatomici... Ora il pensiero umano ha altre cure, questioni più vive, più ardenti da risolvere, studi più proficui da coltivare, battaglie più decisive da combattere. I ri-