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volissimi, tanto che si sarebbe potuto dire di lui quello che afferma Laberio: «che un compagno di viaggio facondo e piacevole vale quanto una buona carrozza». E tutte le volte che si passava per luoghi dove fosse avvenuto qualche fatto importante, egli se lo ricordava e ce lo esponeva. Quando poi s’era giunti all’albergo, quanta festevolezza, quanta giocondità con tutti i famigliari!... la fatica passata si risolveva tosto in piacere. Durante la cena e sedendo a mensa, non voleva facce tristi: diceva che a tavola si doveva star sempre allegri; se no, si sarebbe fatto torto a Bacco, che è il dator della gioia. E aggiungeva che la severità bisogna riservarla pel foro, la tristezza nei funerali, l’esitazione e la incertezza prima di decidere, il «sopracciglio» o l’alterezza nel senato. Insomma, anche durante il viaggio s’è diportato in modo da non meritare che lode.

Par. — Che te ne pare, Altilio?... ti pare che si possa conciliare tutto ciò con un delirio di pazzia così improvvisa?... Temo che non siamo impazziti noi stessi, con questo nostro sospetto di pazzia...

Azz. — Aggiungete ancora che in tutte le sue azioni è stato poi così circospetto e guardingo, da sembrar quasi che non avrebbe potuto compiere un’impresa tanto alta e difficile, senza una Provvidenza divina che lo guidasse. Sicchè mi sembra che, dopo aver superata l’erta fra questi nostri discorsi e divisamenti, sia bene che noi seguiamo quest’altro sentiero trasverso, per non arrivar da Gioviano ancora turbati da sì brutto sospetto. Anzi, passando di qui, potremo osservar di nascosto che cosa egli faccia, come tratti col fattore e col contadino, insomma come si diporti; e i suoi discorsi ci apriranno la via di